Visualizzazioni totali

lunedì 5 novembre 2012

Alice è nei guai




Avete mai partecipato a un "laboratorio di scrittura creativa collettivo"? A me è successo, durante la bella esperienza di Noilapensiamocosì. Tra le attività del gruppo che ha dato vita al libro più originale del web, c'è stata anche l'esperienza di raccontare, ciascuno a suo modo, una storia sulla base di una traccia assegnata.
Autrice dell'incipit, la mia amica e scrittrice sopraffina Emanuela Valentini. Ecco cosa ne è venuto fuori.



TRACCIA

Alice guardò la pioggia consumarsi attraverso i vetri della classe. Le parole del professore non arrivavano alle sue orecchie, lei era altrove. Stavolta l’aveva combinata grossa, ma in effetti la colpa non era tutta sua. Una volta di più odiò la piccola città dove viveva da un anno circa; tutti sapevano tutto e anche questo presto sarebbe stato materia di pettegolezzo, come sempre.
Le avevano detto che l’anno del diploma sarebbe stato una passeggiata ma lei, sarà per sfortuna o per quella sua innata capacità di mettersi nei guai, aveva trovato molte difficoltà ad adattarsi nella nuova scuola, coi nuovi compagni e con professori che parevano sadici esseri usciti da qualche romanzo dell'orrore.
Quando vivevano nella periferia di Milano, lei, sua madre e il patrigno quasi non s'incontravano mai visti i turni di lavoro di quest'ultimo e della mamma e le abitudini strambe di lei, che se ne stava rintanata in camera sua per ore ad ascoltare musica dalle cuffiette dimenticando persino di mangiare. Isolarsi dalla realtà la faceva stare bene. Una squallida assistente sociale nell'altra scuola l'aveva definita ‘personalità antisociale’ e sua madre si era messa a piangere; Alice non aveva idea di cosa fosse una personalità antisociale, lei sapeva solo che voleva vivere ed essere felice come tutti quelli della sua età ma che questo per lei sembrava solo un sogno lontano.
[Emanuela Valentini]


Ecco come la storia prosegue, secondo il mio punto di vista.


Si era trattato di un incidente, ma come al solito nessuno le aveva creduto e l’accusa di aver volutamente distrutto il PC nell’aula d’informatica, in preda a uno dei suoi momenti di ribellione, era stata riportata a sua madre tirando fuori ancora una volta la storia della “personalità antisociale”.
Al termine dell’ora di letteratura, il professore la prese da parte. Alice si sorbì tutta la ramanzina tenendo gli occhi bassi e dondolando da un piede all’altro, mordicchiandosi il labbro come faceva sempre quando era nervosa. Sentiva come spilli sulla nuca gli sguardi invadenti e pettegoli delle compagne, ma anche quella volta era decisa a non dar loro alcuna soddisfazione. Pensavano che fosse stramba? Beh, non avrebbe fatto nulla per modificare l'opinione di quelle smorfiose interessate solo a farsi notare dai ragazzi delle ultime classi.
A dire il vero, anche a lei non dispiaceva quando Marco, il bel ragazzo alto della 5 B, quello che suonava nel gruppo rock della scuola, le sorrideva incrociandola nel corridoio durante la ricreazione. Ma non si sarebbe mai comportata come quelle ragazze per attirare la sua attenzione.
« … quindi, signorina» la voce del professore la riportò alla realtà «dovrò assegnarti una nuova punizione.» Qualcuno dietro di lei sghignazzò e Alice fece uno sforzo sovrumano per non voltarsi. Con tutta la dignità possibile, tornò al banco, afferrò lo zaino e uscì dalla classe. Mise le cuffie e accese a tutto volume l’mp3, isolandosi dal resto del mondo. Varcò la soglia dell’edificio scolastico, oltrepassò la fermata del bus e proseguì a piedi, aspirando il vago sentore di terra e fiori che aleggiava nell’aria dopo la pioggia.
L’unico lato positivo di quel posto erano le rose. Tante, colorate, maestose rose che sbocciavano in ogni stagione e riempivano le strade con il loro profumo. Per il resto, non avrebbe mai perdonato a sua madre la decisione di trasferirsi in quel piccolo buco fuori dal mondo.
La musica scandiva i suoi passi e il pensiero andò a quello che era successo nell’aula d’informatica. Stava scontando l’ennesima punizione, che stavolta consisteva nel lucidare i monitor e sistemare le postazioni per le classi del giorno seguente.
All’improvviso, un rumore sordo alle sue spalle, come di qualcosa che cadeva dall’alto, l’aveva fatta trasalire, costringendola a voltarsi con il cuore in gola. Per un istante, aveva avuto la certezza che qualcosa la stesse osservando. Aveva scandagliato con lo sguardo ogni angolo dell’aula silenziosa. A quell’ora la scuola era ormai deserta: gli studenti erano sulla strada di casa e solo qualche insegnante si attardava in sala professori.
Ogni cosa le era sembrata al suo posto, assolutamente normale, così aveva ripreso a spolverare i monitor, più rapidamente. Ancora tre computer, poi avrebbe finito e sarebbe potuta tornare a casa, tra le mura sicure della sua stanza tappezzata dai poster di Eminem e dei Metallica.
Improvvisamente, un nuovo rumore, fragoroso, tremendo, le aveva strappato un grido, mentre il cuore accelerava i battiti e l’adrenalina cominciava a correre nelle vene. Una sensazione di puro terrore le aveva stretto la gola, mentre si voltava verso il computer che era… esploso?
Il monitor era andato in mille pezzi e lo schermo vuoto ammiccava verso di lei come una bocca mostruosa pronta a divorarla. Alice era stata presa dal panico: il cuore sembrava volerle scappare dal petto, pulsazioni dolorose le martellavano le tempie, mentre negli occhi bruciavano lacrime di paura. Era fuggita via dall’aula, sotto lo sguardo stupito di una professoressa e aveva corso senza sosta fino al vecchio parco. Lì, ansimante e scossa ancora dai brividi, avvolta dall’abbraccio rassicurante delle querce antiche, si era fermata sapendo di essere al sicuro, lontano da ciò che la perseguitava.
Ora, percorrendo a grandi passi il viale alberato e fiancheggiato da rosai colorati in fondo al quale si trovava la sua casa, rifletteva su ciò che aveva scoperto dietro lo schermo di un computer. Ci era finita per caso, durante una delle sue solitarie serate di fine inverno. Non aveva amici, sua madre e il suo compagno lavoravano fino a tardi e lei si era creata un mondo virtuale in cui vivere una vita diversa da quella che la teneva prigioniera tra le pareti di casa o di una scuola noiosa. Quella sera, però, era accaduto qualcosa. Una luce nello schermo, un ronzio anomalo. E poi la sensazione di avere infilato le dita in una presa elettrica.
Si era sentita bruciare, schiacciata da una pressione insopportabile, poi era caduta, precipitando in un luogo buio. A poco a poco, l’Altro-spazio si era mostrato ai suoi occhi, emergendo dall’ombra con colori, suoni e forme mai visti né sentiti prima. E come l’altra Alice, quella del libro, si era trovata a combattere contro un’entità mostruosa per conquistarsi il diritto di tornare a casa.
Quel qualcosa dall’Altro-spazio, tuttavia, non voleva lasciarla in pace. La inseguiva attraverso gli schermi dei computer e quello dell’aula d’informatica era stato un altro tentativo di risucchiarla nella dimensione parallela. Ma chi le avrebbe mai creduto se ne avesse parlato? Per il suo mondo, per sua madre, per i suoi insegnanti, per i suoi compagni era più semplice considerarla una “personalità antisociale” e credere che avesse distrutto di proposito il computer della scuola. Assorta nelle sue riflessioni e stordita dalla musica, non si accorse della figura che si avvicinava nella direzione opposta. Ci fu uno scontro, e lo zaino le cadde qualche metro più in là. Alice alzò lo sguardo, tra paura e rabbia, e incrociò gli occhi scuri di Marco, quello della 5B. Ebbe per un attimo l’assurda sensazione che, se gli avesse raccontato la sua storia, lui le avrebbe creduto.
Il ragazzo sorrideva e quel sorriso la riscaldò come una tiepida giornata di primavera. Marco raccolse lo zaino e glielo porse. Senza dire nulla, Alice lo prese e lo guardò allontanarsi lungo il viale profumato di rose.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma si sentì meno sola e un pochino più “normale”. Mise lo zaino in spalla e ricominciò a camminare verso casa, mentre nuovi pensieri le affollavano la mente. Un giorno, forse, lei e Marco sarebbero diventati amici. Allora, forse, gli avrebbe raccontato tutto.
E chissà, a quel punto l’Altro-spazio l’avrebbe lasciata finalmente in pace.

[da Noilapensiamocosì, *IoLarAccCoNtoCoSì*, 2012]

Nessun commento:

Posta un commento