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domenica 4 dicembre 2016

Avvento #4





Polgara la Maga, D. e L. Eddings

Prima che nostro padre ritornasse dalla sua missione in Mallorea, Beldaran era quasi esclusivamente mia. Ma poi le cose cambiarono. Ora i suoi pensieri, che un tempo dedicava solo a me, andavano spesso a quel vecchio furfante fradicio di birra, e io me la prendevo tremendamente.
Una sera, parlando nel linguaggio tutto nostro, osservò: «Non potresti almeno pettinarti, Pol?­­» Era ossessionata dall’ordine, e la mia indifferenza verso l’aspetto esteriore la disturbava parecchio.
«A che pro? È solo una perdita di tempo.»
«Hai un aspetto tremendo.»
«Chi se ne importa?»
«A me importa. Siediti, che ti do una sistemata.»
E così, divenne una specie di rituale che si ripeteva quasi ogni sera, e ammetto che mi rendeva felice, perché mentre Beldaran si dava da fare con i miei capelli concentrava tutta la sua attenzione su di me, invece di rimuginare su nostro padre.
In un modo tutto particolare, il risentimento ha plasmato l’intera mia esistenza. Ogni volta che lo sguardo di Beldaran si faceva cupo e distante, sapevo che stava pensando a lui, e non sopportavo la separazione implicita in tutto ciò. Forse è per questo che ho cominciato a camminare molto presto: dovevo sottrarmi alla malinconia di quello sguardo.
Questo mandò fuori di testa zio Beldin. Aveva messo un cancelletto alla sommità delle scale, ma non riusciva a escogitare una chiusura che io non fossi capace di aprire quando ero presa dalla smania di uscire. Avevo (e ho ancora, suppongo) una natura indipendente e non accetto ordini da nessuno.

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