Qualche anno fa, frequentando la community de ilmiolibro, partecipai a un contest che richiedeva di scrivere un racconto partendo da un incipit assegnato.
Eccolo qui (leggermente rimaneggiato) per voi, amici webnauti.
Buona lettura.
Il giardino fuori dal tempo
di Molly Greenhouse
Era un
giovedì di marzo. Portai a casa l’ennesimo brutto voto, suscitando le ire di mio padre.
“Da domani
starai tutto il giorno con me. Così imparerai a fare il tuo dovere e forse ti
renderai conto di quanto è faticoso lavorare!”
Mio padre
faceva il giardiniere e lavorava su commissione. Andava a potare piante,
rastrellare foglie e tagliare erba con la sua potente falciatrice. Il giorno
successivo doveva occuparsi niente meno che del giardino dei terribili Panico.
I Panico
erano la famiglia più ricca e potente della collina e di loro in paese si
raccontavano cose tremende. A me facevano paura due cose dei Panico: il nome,
che evocava atmosfere misteriose e terribili; e il giardino della grande villa,
perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà che cosa
mai si nascondeva.
Partimmo molto presto. L'aria era frizzante e tutto era avvolto da una nebbia leggera che si diradò poco a poco. Giungemmo davanti a un maestoso
cancello di ferro battuto, che si spalancò lentamente su un viale bordato di
cipressi e dopo un po', finalmente, giungemmo davanti alla casa.
Alla vista
di villa Panico socchiusi gli occhi, sperando che, in questo modo, l’edificio assumesse
un aspetto meno minaccioso. Era enorme, e lugubre, con le porte dal colore
scrostato e sbiadito, il tetto in perfetto stile ottocentesco.
“Accidenti.”
mormorai, fermo in mezzo al prato, con gli occhi fissi sulla casa.
Mio padre,
che aveva appena terminato di scaricare gi attrezzi, mi chiamò.
“Avanti,
muoviti! Abbiamo un gran lavoro da fare.”
Con un
sospiro, diedi uno sguardo al giardino. Anche quello aveva un aspetto
inquietante, racchiuso da alti muri di pietra grigia, ricoperti di vite
americana dal colore rosso sangue. E sembrava abbandonato da anni.
“I
proprietari non sono in casa.” disse mio padre, porgendomi un rastrello.
“Abbiamo tutta la giornata per sistemare questo disastro.”
Presi
l’attrezzo e, mentre lui sistemava il tagliaerba, mi addentrai verso il lato
opposto del parco. Cominciai a
rastrellare il terreno, raccogliendo le foglie ammucchiate sull’erba, quando,
improvvisamente, sentii un rumore sinistro, secco, come di un ramo che si
spezzava.
“Papà?”
Benché la mia intenzione fosse di parlare forte, la voce mi uscì soffocata.
Nessuno rispose.
Feci un
passo incerto, poi un altro, finché un fruscio alle mie spalle mi bloccò.
Sarà uno scoiattolo, pensai. In fondo, mi trovavo in un
giardino enorme, ed era normale che ci fossero degli animali. Subito dopo,
però, mi ricordai che quello era il giardino di Villa Panico, e che quindi
sarebbe stata una fortuna che in giro non ci fossero bestie feroci o chissà
quale altra orribile creatura.
“Papà?”
ripetei, con voce ancora più flebile. Ancora una volta, il mio richiamo rimase sospeso
nel nulla. Decisi di raggiungere mio padre, quando mi accorsi della breccia nel
muro, nascosta dall’edera. La curiosità è uno dei miei peggiori difetti e anche
quella volta, nonostante la paura che mi faceva quel posto, non riuscii a
resistere alla tentazione di scoprire cosa c’era dall’altra parte. Poggiai il rastrello
e mi affacciai. Ci passavo per un pelo.
Entrai nel
cunicolo e, muovendomi a fatica, giunsi dall’altra parte. Strisciai fuori e mi
guardai intorno.
All’improvviso,
non fui più sicuro di dove mi trovavo. Era una
giornata bellissima e l’aria profumava di fiori ed erba appena tagliata. Potevo
sentire in lontananza il ronzio del tagliaerba di mio padre. Mi sarei
preso di sicuro un’altra sgridata per essere sparito mentre lui lavorava
duramente per sistemare il giardino dei Panico, ma guardandomi intorno mi dissi
che ne sarebbe valsa la pena.
Sembrava che
tutti i colori della natura si fossero riuniti in quello spazio minuscolo. Trattenni il
fiato, quando mi resi conto che erano in piena fioritura anche specie che in
quel periodo sarebbero state assolutamente fuori stagione. Il giardino
era avvolto da un’aura misteriosa, come se fosse fuori dallo spazio e dal
tempo.
Al centro
c’era una meridiana (a scuola avevo imparato che si trattava di un antico
“orologio solare”) in pietra, circondata da campanule, anemoni, mughetti,
fresie e altri fiori che non riuscivo a riconoscere. Un profumo fragrante
aleggiava nell’aria e le rose rivestivano tutte le mura interne.
All’improvviso,
mi accorsi di non essere solo. Seduto su
una pietra, nel mezzo del giardino c’era un ragazzo. Portava
abiti dal taglio antiquato e il suo viso aveva un pallore che lo rendeva quasi
trasparente. Mi fissava con un’espressione interrogativa.
“Salve.”
salutai, imbarazzato per essermi fatto sorprendere in un posto dove non avrei
dovuto essere.
“Chi sei?”
chiese lui, con voce pacata. “Non viene mai nessuno qui.”
Avanzai di
qualche passo.
“Mi chiamo
Daniele. Mio padre si sta occupando del giardino della villa.”
Il ragazzo
annuì.
“Io sono
Michele.” si presentò. “Michele Panico.”
Iniziammo a
parlare e scoprimmo presto di avere un sacco d’interessi in comune, anche se mi
sembrava che Michele fosse rimasto un po’ indietro nel tempo su alcuni
argomenti.
“Sono molti
anni che non esco da qui.” mi disse. Pensai che fosse ammalato, ed ebbi
compassione di lui.
Senza
accorgerci del tempo che passava, mentre l’ombra della meridiana si spostava
sul quadrante di pietra, continuammo a parlare finché il sole scomparve dietro
le alte mura che circondavano il giardino.
“Daniele!”
La voce di mio padre risuonò forte dall’altro lato. “Dove sei finito? E’ ora di
andare!”
Stringendomi
nelle spalle, sorrisi a Michele.
“E’ meglio
che vada. Sarà già abbastanza in collera perché sono sparito per tutto il
giorno invece di aiutarlo.”
Anche il
ragazzo Panico sorrise.
“E’ tuo
padre, e ti vuol bene, anche se qualche volta è severo. Non avercela con lui.”
“Spero di
rivederti presto.” dissi, tendendogli la mano.
Senza
prenderla, rispose con voce triste: “Non credo che sarà possibile.”
Non ebbi il
tempo di replicare.
“Daniele!” Feci
un rapido cenno di saluto e m’infilai di nuovo nel cunicolo.
Quando fui
dall’altra parte, raggiunsi mio padre accanto alla macchina. Aveva già caricato
gli attrezzi e mi rivolse uno sguardo truce.
“Bell’aiuto!
Dov’eri sparito?”
Non cercai
di giustificarmi.
“Scusami,
papà.” La mia aria contrita lo dissuase dal rimproverarmi oltre.
“Avanti,
sali in macchina.”
Obbedii.
“Papà, i Panico
hanno un figlio?” chiesi, mentre metteva in moto.
Inaspettatamente,
mio padre trasalì e l’auto si spense. Il suo sguardo si fece triste, mentre
cercava di riavviare il motore.
“L’avevano.
Si chiamava Michele ed è morto circa vent’anni fa. Aveva la tua età.”
Per alcuni
istanti pensai di non aver capito bene. Poi un
brivido mi fece drizzare i peli sulla nuca, mentre mio padre continuava a
parlare e l’auto si avviava lungo il viale di cipressi.
“E’ una
storia troppo triste.” disse. “Andiamo a casa.”
Mi voltai
indietro e vidi la villa ergersi scura nella luce del crepuscolo, in mezzo ai
prati che papà aveva sistemato. Adesso che
il giardino era perfettamente in ordine, la casa non era più inquietante, ma
solo triste. Lo sguardo
mi cadde sulla grande finestra del primo piano e vidi una figura pallida che
alzava la mano in cenno di saluto.
Quando
risposi, mi parve che il fantasma di Michele Panico mi sorridesse.
Il giardino fuori dal tempo by Molly Greenhouse/Monica Serra is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
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